11 Ago 2011
Qualche anno fa – quando ancora credevo che l’idea della conoscenza condivisa che sta alla base di Wikipedia potesse funzionare e facevo parte del suo Progetto Cinema – ho ricevuto un messaggio in cui mi si chiedeva di cambiare un link nella mia pagina utente. La pagina “Heroes (serie televisiva)” era stata infatti rinominata “Heroes (serial televisivo)”, perché il Progetto Televisione aveva deciso di adottare la nomenclatura codificata dagli accademici. Ne parlo con Davide Barzi e lui mi manda la scansione di due pagine del libro di Aldo Grasso Buona maestra, pubblicato da Mondadori nel 2007:
Oggi […]si preferisce classificare i telefilm diversamente, soprattutto in base al formato, alla morfologia (episodio “chiuso” o puntata “aperta”), alla narrativa (evoluzione cronologica o meno delle vicende e dei personaggi). È possibile perciò distinguere tra alcune grandi famiglie:
• “Serie”, che è suddivisa in episodi, cioè segmenti narrativi conchiusi senza sviluppo cronologico delle vicende, e che prevede un ritorno ciclico del tempo;
• “Serial”, che è suddiviso in puntate, cioè segmenti narrativi aperti con sviluppo cronologico delle vicende, e che prevede uno sviluppo lineare del tempo;
• “Miniserie” (o “miniserial”), che è suddivisa in puntate, da due a sei, e prevede uno sviluppo cronologico delle vicende attraverso un percorso narrativo molto breve rispetto ad altre forme seriali ed è perciò definita una “forma seriale debole”;
• “Film per la tv”, che è una storia compiuta che non presenta caratteri di serialità, la cui durata è di circa novanta minuti (al netto dei break pubblicitari), e che è la forma più affine al lungometraggio cinematografico.
In realtà, ognuno di questi formati seriali è a sua volta composto da sottoformati, che spesso compaiono in un preciso momento storico, legati come sono a esigenze produttive, al tipo di pubblico cui si rivolge il telefilm, alla complessità della narrazione che si vuole costruire.
Per quanto questa suddivisione sia semiologicamente corretta e offra persino buoni spunti di riflessione, mi sento di rifiutarne l’utilizzo. Per carità, è vero che i prodotti televisivi di finzione si possono sempre inserire in una di queste quattro categorie, ed è altrettanto vero che queste categorie hanno come “etichetta” dei termini facilmente comprensibili e ormai di uso comune (a parte la distinzione tra episodi e puntate, corretta ma totalmente aliena al sistema produttivo hollywoodiano cui la critica televisiva italiana pretende di applicarla e sostanzialmente ignota al pubblico). Dividere le fiction secondo questa distinzione è però estremamente superficiale, perché è una distinzione che si basa esclusivamente sull’aspetto della serialità (è una storia unica o meno, e quanto dura il suo racconto), non sugli effettivi contenuti del racconto né tantomeno sulla “funzione” televisiva del racconto, ossia sul tipo di pubblico cui il prodotto si rivolge e sul tipo di storia che racconta.
La suddivisione in generi del prodotto cinematografico, peraltro snobbata da molti critici, è basata sui contenuti del film, ossia un aspetto fondamentale dell’argomento di cui si parla. La suddivisione presentata da Grasso si basa invece esclusivamente su un aspetto strutturale tutto sommato secondario. Fatta salva la suddivisione in sottoformati che Grasso suggerisce – e volendo anche tener conto degli sviluppi storici del racconto televisivo di finzione cui Grasso accenna in un paragrafo successivo che non vale qui la pena riportare – qual è l’utilità di una categorizzazione che non permette di distinguere I Simpson da Magnum P.I.?
Capisco l’enfasi che gli intellettuali vogliono dare al proprio lavoro, ma la realtà è che non c’era alcun motivo di studiare una categorizzazione posticcia come questa, a meno di non volerla utilizzare esclusivamente all’interno di studi di semiotica applicata alla televisione di finzione. La realtà, infatti, è che negli Stati Uniti una suddivisione di questo prodotto esiste già, e non da ieri. A livello produttivo, infatti, quelli che per brevità in Italia si definiscono “telefilm” seguono regole narrative e strutturali ben precise, che aiutano poi la gestione della messa in onda e incidentalmente il lavoro di chi la serialità la studia e la spiega al pubblico. Si tratta di una suddivisione facilmente adattabile a tutti i prodotti televisivi di finzione seriale del mondo occidentale (cui si aggiunge il film-tv, che esula però dal discorso) semplicemente modificando il parametro relativo alla durata dei singoli episodi in virtù dell’evoluzione della televisione moderna ed eventualmente cambiando i nomi delle categorie per evitare confusione. Per semplicità, però, uso qui i nomi originali ma in compenso scendo nei dettagli per essere più comprensibile. Si tratta di sei categorie che non necessitano di ulteriori sottodivisioni (se non, volendo, la specifica del genere narrativo di appartenenza) e che si basano come detto su criteri narrativo-strutturali:
• Sit-com: racconto comico composto da episodi di 30 minuti (pubblicità compresa) non in continuità, in cui le storie iniziano e finiscono all’interno del singolo episodio senza mai lasciare strascichi in quelli successivi e che si svolgono interamente in pochi ambienti chiusi. In questa categoria ricadono Friends come anche I Simpson.
• Serie d’azione: racconto di impianto drammatico (ma non necessariamente di genere drammatico) composto da episodi autoconclusivi di durata compresa tra i 30 e i 60 minuti, che raramente incidono su quelli successivi. Nonostante il nome – che in realtà si riferisce al fatto che il racconto procede attraverso l’azione invece di limitarsi a presentare una situazione statica come nella categoria precedente – ne fanno parte Hazzard come L’ispettore Derrick, Miami Vice come la serie classica di Star Trek e i tanti polizieschi che affollano l’etere oggigiorno.
• Soap-Opera: racconto in continuità diretta composto da puntate di durata compresa tra i 30 e i 60 minuti e solitamente suddiviso in cicli più o meno coincidenti con le stagioni televisive. Nonostante il nome si riferisse originariamente a serie sentimentali e di ambientazione familiare, a partire dagli anni ’80 le caratteristiche narrative delle soap hanno cominciato a essere utilizzate anche in produzioni di altro genere, tanto che oggi il termine si può applicare a tutte le serie che raccontano una storia che prosegue direttamente da una puntata all’altra, come ad esempio Heroes. La durata variabile permette di racchiudere al suo interno sia le soap vere e proprie (e nel nostro caso anche le telenovela brasiliane e i teleromanzi italiani come Un posto al sole) sia i classici serial statunitensi come Dallas e Dinasty e le serie più moderne come appunto Heroes e 24.
• Dramma seriale: racconto suddiviso in puntate da 30 o 60 minuti in continuità non diretta, ossia che narra eventi separati tra loro ma inseriti all’interno di un intreccio narrativo generale le cui sottotrame hanno ripercussioni sulle singole puntate. Nonostante quello che il nome può far pensare, non raccoglie esclusivamente serie di impianto drammatico. Al suo interno possiamo catalogare X-Files e E.R., Oz e I Cesaroni. Anche se di primo acchito può non sembrare, dal punto di vista della struttura narrativa Heroes e 24 hanno più cose in comune con Dallas che non con X-Files e E.R.. Se si trattasse di opere letterarie, infatti, i primi tre sarebbero romanzi d’appendice, mentre gli altri due sarebbero una saga unica divisa in più libri in qualche modo paragonabile al ciclo di Hyperion.
• Cartoni del sabato mattina: prodotti d’animazione di durata non superiore ai 15–20 minuti adatti ma non obbligatoriamente riservati a un pubblico infantile (e negli Stati Uniti trasmessi appunto il sabato mattina). Ne fanno parte quasi tutti i cartoni televisivi prodotti oggi in Italia. I cartoni più adulti, come quelli prodotti in Giappone o quelli che negli Stati Uniti sono trasmessi in altri orari (e che durano sempre almeno mezz’ora), devono essere considerati alla stregua dei prodotti in live-action e quindi catalogati in una delle prime quattro categorie perché diretti appunto a un pubblico adulto.
• Miniserie: racconto continuativo di una storia conclusa fin dall’inizio, suddivisa in un numero limitato di puntate (di solito inferiore alla decina) della durata compresa tra 60 e 120 minuti.
Di certo non mi aspetto di essere preso sul serio – in fondo non sono altro che un “giovane” critico, che come surplus al DAMS ha preferito dare l’esame di estetica con Nanni invece che quello di semiologia con Umberto Eco – però se questo scritto riesce a mettere un dubbio nella testa di qualche accademico, ha raggiunto il suo scopo.
A settembre tornano gli Sgommati! Gli ultimi a fare satira in Italia: http://video.sky.it/news/gli-sgommati/promosgommaticrisi/v129474.vid
Eh sì, ormai certe cose sono quasi del tutto scomparse, dalla nostra tv. Tra l’altro la versione francese è molto più cattiva, ma non possiamo lamentarci troppo.