Il mito di Olivia Pope

Il mito di Olivia Pope

21 Giu 2012

Nel sistema statunitense, dove le serie televisive vengono realizzate a ridosso della messa in onda, capita spesso che alcuni titoli vengano fermati in corsa, dopo appena un paio di episodi o una sola stagione. In particolare in questi ultimissimi anni di crisi economica, strappare un rinnovo per una seconda stagione sembra essere diventato un obiettivo tutt’altro che scontato. In mezzo a tanti corpi lasciati sul terreno, si erge Shonda Rhimes, che ormai da 8 anni manda avanti Grey’s Anatomy e da 5 lo spin-off Private Practice. I risultati sono spesso meno che incerti nel primo caso, più apprezzabili nel secondo, che però è stato demandato ad altre persone. Non bastassero due serie in onda in prima serata sulla stessa rete nazionale, un anno fa la Rhimes tenta di lanciarne una terza, Off the map, che però chiude dopo una sola annata, e oggi ci riprova con Scandal, confermando in pieno tutti i suoi stilemi ma soprattutto i suoi difetti.

Olivia Pope (Kerry Washington) è un avvocato di grido che ha lasciato lo staff della Casa Bianca per aprire un proprio studio legale, dove si rivolgono tutti quelli che cercano un qualche aiuto oltre la legge per risolvere situazioni esplosive da un punto di vista mediatico. Conosciuta come la più rapida e spietata macchina da lavoro sporco che ci sia sul mercato, venerata quasi come una divinità, Olivia affronta le grandi sfide del suo lavoro con uno staff di persone capaci e determinate quasi quanto lei, tenute a comando dalla sua indomabile autorità. Tra un caso e l’altro, però, il Presidente degli Stati Uniti che proprio lei ha contribuito a far eleggere (Tony Goldwyn), si trova ad avere bisogno dei suoi servigi per insabbiare uno scandalo sessuale che lo vede coinvolto in prima persona. Olivia è combattuta, perché accettare di aiutare quello stesso Presidente significa prima di tutto fare i conti con i motivi per cui ha già lasciato quel lavoro…

Difficile capire quale fosse la reale portata delle ambizioni degli autori di fronte agli eccessi e alle mancanze del risultato finale. La serie punta moltissimo, troppo, sulla riuscita del personaggio protagonista, che però appare in realtà molto più arrogante che carismatico, suscitando fastidio anziché un’improbabile empatia. La colpa non è solo del miscasting di Kerry Washington, che sembra una modella di biancheria intima che naviga a caso in un mondo estraneo, ma anche dalla fretta di arrivare ai lati più intimi della protagonista nel giro di pochissimo tempo. Su una serie che vuole essere sì soap, ma anche procedurale, non è possibile vedere il crollo emotivo di un personaggio che occupa quasi tutto lo screen time dopo solo tre o quattro episodi, significa minarne qualsiasi credibilità presente e futura. In sostanza, né la scrittura del personaggio né l’attrice che lo interpreta sembrano reggere minimamente il mito di Olivia Pope che gli sceneggiatori cercano di costruire tramite i dialoghi degli altri personaggi.

Si può dire che sia un problema anche della serie nel suo complesso, quello di una sostanza deludente dietro una facciata luccicante e appetibile. I dialoghi sparati a un ritmo quasi insopportabile cercano malamente di coprire dei buchi di sceneggiatura anche rilevanti, un cast potenzialmente interessante viene sfruttato troppo poco, a partire da Henry Ian Cusick (il memorabile Desmond di Lost) e Columbus Short. Questo perché, soprattutto dopo i primi quattro dei sette episodi, qualsiasi serietà da procedurale o senso del lavoro di squadra vengono buttati alle ortiche per fare spazio all’orrenda storia del passato della protagonista, del Presidente e del braccio destro di questi (Jeff Perry, forse il migliore del cast). Gli ultimi tre episodi sono davvero una raccolta del peggio dello stile Rhimes: storyline telefonate portate avanti con svolte ingiustificabili, sacrificio di qualsiasi coerenza narrativa in favore del colpo di scena a tutti i costi, una dose di melassa intollerabile e raccontata in modo banale.

Scandal è una serie di cui si poteva fare tranquillamente a meno, per come racconta contenuti decisamente stantii cercando di rinnovare solo la superficie: l’ingaggio del solitamente ottimo Paul McGuigan per la regia del pilota non è un caso, in questo senso. Nonostante tutto questo, però, e in barba a tanti esperimenti decisamente più brillanti visti negli ultimi anni, a Scandal è stato concesso il rinnovo per una seconda stagione. Al peggio non c’è fine.


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3 commenti

  1. Plissken /

    …insomma una serie da evitare con accuratezza. Buono a sapersi. Come espresso nell’articolo, il soggetto di per sé ha davvero un che di stantio: corruzione nell’ambiente politico, conflitto di interessi, lavoro in antitesi all’etica/moralità, ecc. a cui aggiungere la figura della donna-manager-di-se-stessa tutta d’un pezzo e dai tailleur firmati che sembra un retaggio degli anni ’80. Certo è vero che spesso è la realizzazione che può elevare concetti già ampiamente espressi ma a quanto sembra non è questo il caso. Peccato…

    A me piace visionare serie TV in quanto ritengo che nell’ultimo decennio abbiano subito un incremento qualitativo in percentuale più rilevante rispetto al prodotto cinematografico (anche perché la media non era certo da podio) però, generalizzando, negli ultimi due-tre anni mi sembra stia tornando un po’ una fase “di stanca”.

    Comunque vorrei chiedere se qualcuno conosce delle serie che vorrei visionare e sa darmi qualche parere in proposito: parlo di “Sons of anarchy”, “Mad men” e “Breaking bad”.

    Grazie…

  2. Enrico Sacchi /

    Rispondo al volo: “Sons of anarchy” non l’ho vista, le altre due sì. Non sto a farti un riassunto preciso della trama di base che puoi trovare ovunque.

    “Mad Men” mette in scena in maniera spesso egregia il cambiamento dell’America degli anni ’60 attraverso le storie dei diversi soci e dipendenti di un’agenzia pubblicitaria dell’epoca. Probabilmente può vantare una delle confezioni migliori mai viste in una serie televisiva, in quanto a costumi, scenografie e direzione della fotografia. Tutto associato ad un grande studio dei personaggi e dei ritmi narrativi che vogliono raccontare il quotidiano, quindi non esattamente frenetici. “Mad Men” è una serie dove ciò che conta è la singola battuta, il gesto, lo sguardo, la somma di tanti piccoli cambiamenti. I toni sono sempre sospesi tra dramma e commedia, la recitazione generalmente di ottimo livello. Sicuramente una serie non immediata, il cui rischio principale è di apparire lenta o noiosa. Il consiglio è di vedere qualche episodio, per capire se si è davvero interessati ad entrare in quel mondo, cosa non scontata.

    “Breaking Bad”, al contrario, basa molta della sua riuscita proprio sulla tensione che riesce a creare nello spettatore grazie ad una storia avvincente e spesso imprevedibile. Qui l’ambientazione è contemporanea ed il protagonista unico e titanico, un solo perno attorno al quale girano tutti gli altri personaggi. Qui il pericolo non è tanto la noia, quanto il rifiuto dei personaggi e delle loro azioni, spesso estremamente negative o poco giustificate.

    Entrambe le serie sono comunque di ottimo livello, a torto o ragione tra le più premiate negli ultimi anni. Tutto sta a vedere quale storia può interessare di più. Non conoscendo i tuoi gusti, tra le due posso consigliare a occhi chiusi “Breaking Bad” più che “Mad Men”. Per quanto oscura e destabilizzante, “Breaking Bad” ha un modo di proporsi più appetibile e deciso, mentre “Mad Men” può piacere moltissimo oppure essere rifiutata in blocco.

  3. Plissken /

    Grazie mille per la cortese ed esaudiente risposta, apprezzo molto sia la cortesia che l’analisi che mi sembra molto ben fatta e che da una idea più che precisa delle due serie.

    In verità, anche se i miei gusti propendono d’istinto più verso serie volte ad un certo “dinamismo” concettuale e formale (The Shield, the Wire, OZ…), non disdegno per nulla anche situazioni più “lente” in cui la quotidianità con annesse problematiche si rivela essere al centro del soggetto. Tanto per fare un esempio, tra i miei film preferiti ci sono “la Cosa” o “Terminator” ma pongo allo stesso livello “Una storia vera” o “Americani”, per citare i primi che mi sovvengono.

    La cosa di cui sono contento è che le due menzionate serie, per quanto diverse, sono entrambe di ottimo livello a quanto ho capito e questo mi porterà senz’altro a visionarle entrambe.

    Visto infatti che il tempo a disposizione non è infinito, risulta seccante visionare tre o quattro episodi di una serie per poi accorgersi dell’insita mediocrità, come sarebbe accaduto senz’altro per “Scandal” ad esempio. Da qui la mia richiesta di informazioni a chi è in grado di effettuare una valutazione valida.

    Ora mi sono ripromesso di visionare “Generation Kill” che si esaurisce in soli sei episodi, poi passerò volentieri a “Mad Men” e “Breaking bad”.

    Grazie ancora e complimenti per l’ottimo lavoro.

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