8 Mar 2011
Quando nel 1986 Matt Forrest diresse l’allucinante videoclip della versione degli Art of Noise del tema di Peter Gunn, accompagnata dalla chitarra del grande Duane Eddy, per molti telespettatori fu il primo incontro con il personaggio creato da Blake Edwards nel 1958. Ma fu un incontro mistificatore, perché il Peter Gunn del video era tutto ciò che quello originale non era. Anzi, si può ben dire che a parte il nome e il tema musicale, i due personaggi non avessero niente in comune.
Protagonista di 114 episodi da mezz’ora divisi in tre stagioni trasmesse prima dalla NBC e poi dalla ABC, Peter Gunn era un investigatore privato ben diverso dai tanti che si vedevano nella televisione statunitense di quegli anni e soprattutto che si leggevano nei vendutissimi romanzi hard-boiled. Di buonissima educazione, sempre vestito in maniera impeccabile, frequentatore di locali di classe, per nulla incline all’alcol, sempre tranquillo e con la risposta pronta, grande appassionato di jazz. Erano questi i tratti che rendevano il personaggio davvero unico nel panorama di fine anni Cinquanta, e che sicuramente furono tra le ragioni del suo successo.
Cliente abituale del Mother’s, un jazz club situato vicino al porto della città senza nome in cui vive e lavora, Peter Gunn era in realtà una versione riveduta e corretta del protagonista di un serial radiofonico creato dallo stesso Edwards nel 1949, Richard Diamond, Private Detective, cui prestava la voce Dick Powell. Sulla scorta di quei soddisfacenti quattro anni, e con in faretra anche la sceneggiatura del pilot di una serie poi abortita dedicata a Mike Hammer che avrebbe dovuto essere interpretata da Brian Keith (Hardcastle & McCormick), Edwards pensò bene di rivisitare il personaggio di Richard Diamond per la televisione. Curiosamente, la serie di Peter Gunn si trovò a confrontarsi negli ascolti proprio con Richard Diamond, che nel frattempo era diventato anch’esso una serie tv prodotta da Dick Powell e interpretata da David Janssen per la CBS (e in seguito per la stessa NBC).
Per quanto Peter Gunn non avrebbe potuto essere Peter Gunn senza il quasi onnipresente jazz e il celeberrimo tema musicale di Henry Mancini, in realtà la serie si avvaleva di un protagonista perfetto (Craig Stevens), di trame elaborate, di dialoghi particolarmente ben scritti e di una regia all’avanguardia. Edwards e soci presentarono ai telespettatori un personaggio che pur essendo un detective privato non è per nulla un uomo d’azione, che spesso viene preso a pugni dagli sgherri dei cattivi e che non spara quasi mai; un vero investigatore, che risolve i casi indagando con intelligenza e astuzia, grazie anche all’aiuto di un simpatico tenente di polizia e di una fitta rete di contatti. Tutte particolarità che rendevano la serie un must per gli appassionati di gialli.
Ma la tv degli anni Cinquanta e Sessanta è invecchiata in fretta, e non è probabilmente sbagliato pensare che sia solo per merito del tema musicale (utilizzato anche nella colonna sonora di The Blues Brothers) se Peter Gunn viene ricordato ancora oggi. Tant’è che dopo la cancellazione della serie, Blake Edwards ha più volte inutilmente tentato di riproporre il personaggio al grande pubblico. Prima nel lungometraggio Peter Gunn: 24 ore per l’assassino, uscito con scarso successo nei cinema statunitensi nel 1967, e poi con il pilot di una nuova serie interpretato da Peter Strauss nel 1989, che ripuliva però troppo il personaggio per poter interessare gli spettatori. Nel 2001 il regista della Pantera Rosa tentò una seconda volta di sviluppare una nuova serie, e contemporaneamente John Woo si interessò alla possibilità di dirigere un film sul personaggio. Entrambi i progetti naufragarono presto, e Peter Gunn tornò a essere solo un oggetto di folkore televisivo. Forse perché il pubblico moderno preferirebbe vedere il Peter Gunn sporco e ubriacone degli Art of Noise invece di quello elegante e compassato di Blake Edwards.
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