Una stagione cruciale

Una stagione cruciale

16 Gen 2011

C’è stato un tempo in cui i network hanno saputo reinventare il loro linguaggio, aprirsi ad altri modelli narrativi, piegare e intrecciare i generi. C’è stato un tempo in cui la tv via cavo ha raccolto la sfida, usando quella scintilla per mettere a frutto la propria libertà di contenuti. C’è stato un tempo in cui abbiamo visto un ulteriore rilancio da parte dei network, che per un certo periodo sono stai capaci di rimanere sospesi a mezz’aria, in perfetto equilibrio tra innovazione e mainstream. Oggi, invece, la forbice sembra essersi allargata troppo, e quegli stessi network sono rimasti a mangiare la polvere.

La fase di stallo dura ormai da qualche anno. La stagione 2010/11 sembra essere quella che non potrà più mascherare le crepe: per la prima volta in 5 anni nessuna nuova serie fa registrare ascolti di rilievo, i grandi successi della passata generazione sono tutti conclusi e pochi mesi fa abbiamo salutato i due più significativi (Lost e 24). Le prime cancellazioni sono arrivate quasi subito, impietose. Tra le nuove proposte si fa strada una polarizzazione sempre più evidente. Da una parte i reazionari che si rifugiano al sicuro del formato episodico (nei casi peggiori si tratta anche di remake, come la nuova versione di Hawaii Five-O), dall’altra i dead man walking che cocciutamente si danno battaglia per occupare il trono di Lost, senza rendersi conto di aver già perso in partenza.
Per illustrare l’ormai robusto trend è molto di moda citare Fringe, Flashforward e The Event, ma dov’erano lor signori nel 2006, l’anno in cui Lost era al massimo dello splendore e già si provò a replicarne la lezione con Heroes, e ancor più con il dimenticato The Nine? Questo petrarchismo dell’era moderna è fenomeno ben consolidato – mitologia, ensemble, interconnessione, hype; le ultime due stagioni hanno solo esarcebato gli azzardi produttivi e promozionali della formula (che arrivano a sfiorare anche le sponde italiane – tutte le grandi operazioni recenti di messa in onda in contemporanea ed enorme battage pubblicitari riguardavano questo tipo di prodotti). Allo stato dei fatti, si potrebbe dire che il modello degli anni duemila è già concluso, ed è piuttosto ovvio che la causa sia da ricercarsi nel mutato peso specifico delle produzioni via cavo.

Gli ultimi vinque anni, che sul fronte network hanno significato la caduta degli dei con relativa carestia di successori, hanno per un periodo indebollito persino il simbolo assoluto della tv a pagamento, la HBO. Con due differenze, però: la prima era che l’accenno di declino era accompagnato (e pungolato) da una proliferazione di concorrenti agguerriti, e la seconda è che la cura della HBO per la sua crisi passeggera è stata improntata al rilancio, spegnendo cioé l’incendio con una pioggia di soldi. Oltre al brutale aumento dei budget, ci sono voluti un paio d’anni di assestamento e una maggiore apertura delle collaborazioni internazionali, ma la line-up di quest’anno è impressionante e lussuosissima, la risposta ferrea a una concorrenza che cinque anni fa semplicemente non esisteva.
A cominciare fu FX, ma ormai il contendente più serio (che ha tardato a rivelarsi come il migliore dei villain) è indubbiamente AMC, la quale a sua volta ha fatto in tempo a concludere il suo primo mini-ciclo di esistenza, andare oltre un’irripetibile fase dorata di successi e pianificare le proposte dei prossimi due anni. Nel frattempo, l’occasione l’hanno fiutata in tanti, ritagliandosi nicchie più o meno importanti. Showtime, SyFy, TNT, Starz e altri ancora. Impensabile fino a poche stagioni fa.

Che possibilità ci sono, dunque,per chi è costretto dalla propria natura generalista a rimanere in seconda fila? In larga parte ci si è aggrappati al tesoretto delle returning series, quelle poche che rappresentano un brand ancora sicuro: l’ultima generazione di prodotti nati in un clima di opulenza (creativa e finanziaria), che hanno dovuto crescere troppo in fretta e che già intravedono la propria fine, sopraggiunta la quale non si potrà più nascondere il buco sotto il tappeto.

Il panorama seriale statunitense ha dunque iniziato la sua stagione cruciale guardando al passato (Hawaii Five-O, Blue Bloods, il travagliato Detroit 1-8-7) e a suggestioni vecchie di diec’anni, come Undercovers di Abrams, già concluso. In molti, prima e dopo, a fargli compagnia (Lone Star, Outlaw, My Generation, The Whole Truth…), a dimostrazione di uno scenario in grave crisi: chiudono i peggiori e chi riproponeva contenuti vecchi, ma chiude anche chi provava qualcosa di nuovo. Il tutto mentre le nuove cancellazioni sul fronte “a pagamento” (Terriers ha fatto scalpore, ma anche l’ottimo Rubicon non è stato rinnovato) lasciano dietro di sé solo rimpianti, vista la qualità cui si rinuncia.


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